martedì 14 aprile 2015

diorama

x mas "bocca di serchio"













martedì 7 aprile 2015

   La "TORRETTA DI OSSERVAZIONE"
            ALBERTO GIANNI

La tremenda disgrazia, successa durante il collaudo di un nuovo tipo di scafandro rigido ( forse al lago di Como leggere l'articolo: il mistero dello scafandro rigido) portò nella testa del Gianni un'idea che aveva da molto tempo, è noto infatti che al Gianni non sono mai piaciuti gli scafandri rigidi, li trovava ingombranti pesanti e molto pericolosi, lui pensava ad uno scafandro dove l'uomo doveva rappresentare l'occhio ,il cervello che doveva guidare il lavoro che dovevano fare le macchine, e prese sempre di più forma l'idea della "torretta" chiamata anche "occhio", che pian piano soppianterà qualsiasi altro tipo di scafandro, è con l'ausilio della torretta che si sono potuti fare lavori di recupero del materiale sui relitti a grandi profondità, nata come torretta d'immersione, diventerà poi torretta di osservazione e come ancora oggi si chiama torretta di esplorazione, la storia di questo strumento d'immersione che fu abitato dai palombari dell'Artiglio per un quarto di secolo prese vita a Viareggio nell'officina di Assuero Baroni, dove il Gianni con i suoi disegni, progetti e calcoli costruì la prima torretta, il Gianni era talmente entusiasto del progetto che gli confidò al Baroni: - o Assuero, questa volta ci siamo! se riesco a realizzare l'attrezzo che vedi, daremo una pedata a quei dannati "carabambù"(così chiamavano i palombari Viareggini gli scafandri metallici tedeschi) che costano tanto e un servono a nulla.
               
Dopo nottate passate a pensare al suo nuovo progetto, finalmente in officina cominciò a prendere forma, il Baroni insieme al Gianni vide e studiò i disegni e i calcoli e si cominciò a lavorare, il Gianni appena poteva scappava a Viareggio per dare una mano, e quando non c'era scriveva ad Assuero perchè gli facesse sapere se tutto andava per il meglio e a disegno, siamo nel 1928 arrivò il Natale e il Gianni tornò a Viareggio per le vacanze e fù una settimana passata in officina tanto che a S.Stefano radunò tutti i pezzi e con un camioncino li portò a Genova, quando il comm. Quaglia vide il misterioso oggetto metallico storse la bocca (anche perchè tale oggetto scombussolava tutti i sistemi d'immersione esistenti ) ma si fece spiegare bene il tutto,  morse il sigaro e disse: -provare non nuoce.
                       
La torretta, quando fu pronta richiamava l'aspetto di uno smisurato baco da seta sospeso al suo filo, la componevano due corpi cilindrici complessivamente di un metro e novanta, la testa era semisferica, nell'insieme poteva ricordare lo scafandro rigido ma senza gambe e braccia, quattro oblò radiali sormontati da altri piccoli oblò permettevano al palombaro di vedere in ogni direzione, importante l'idea della zavorra che era alloggiata nella parte inferiore della torretta che all'occorrenza e in caso di pericolo poteva essere sganciata mediante un minuscolo paranco all'interno, permettendo alla torretta di risalire a "pallone" in superficie, mettendo fine all'incubo di pericolosi incidenti nel caso di rottura del cavo, il sistema di respirazione a pressione atmosferica e quello telefonico per comunicare con la superficie erano uguali a quello adottato per gli scafandri rigidi, con la torretta il lavoro veniva affidato completamente alle macchine, ma l'occhio e il cervello era il palombaro al suo interno.
              
La prima torretta d'esplorazione fu collaudata a vuoto in trecento metri d'acqua e poi lo stesso Gianni in 76 metri, risultò idonea e sicura e venne subito adottata dalla SO.RI.MA., soltanto in un secondo tempo per alleggerire il corpo centrale, il Gianni sostituì il massiccio tubo centrale in lamiera da dieci millimetri col più leggero tubo a " zone sferiche" brevettato dall'ing. Roberto Galeazzi di Livorno ma tale brevetto non toglie niente al genio e all'invenzione della "torretta" che rimane una creazione del palombaro Alberto Gianni. 
               
                
é infatti al genio del Gianni che si devono idee e invenzioni come la "cassa disazotatrice" ora camera iperbarica, il motoeconomo, lampade subacquee di vario tipo o come la "sella" per stare seduti con un minimo di comodità dentro gli scafandri rigidi metallici, si perchè Alberto Gianni non era solo un palombaro, un marinaio, ma era anche un meccanico un falegname conosceva quell'arte di costruirsi le attrezzature che servivano a lui per lavorare al meglio, era già all'epoca un maestro un innovatore un inventore che ha dato tanto in tutti i sensi non solo come tecnico come palombaro ma anche come uomo.
              












lunedì 6 aprile 2015

 Il recupero della salma del pilota Tommaso dal Molin

Quel giorno Alberto Gianni era insieme al Bargellini intenti a costruire  un teatrino di legno per i figli, verso le quattro gli venne recapitato un telegramma: - parta Genova con palombari recupero salma Dal Molin Desenzano stop urgente Quaglia- (il commendatore Quaglia era l'amministratore delegato della so.ri.ma.) il 18 gennaio 1930, durante un volo di prova ad alta velocità, Tommaso Dal Molin precipitava nel lago di Garda col suo idroplano da corsa, un Savoia Marchetti s-65, Dal Molin era il giovane maresciallo che alcuni mesi avanti aveva brillantemente disputato agli inglesi la Coppa Schneider nel cielo di Calshot, era ritenuto un grande pilota, tutte le ricerche e i tentativi di agganciare l'apparecchio sconparso in 100 metri d'acqua erano riusciti vani, fù così che il governo fascista pensò di rivolgersi ai celebri palombari, gli ordini del Quaglia non si discutevano ed il Gianni, avvisati anche Mario Raffaelli e Carlo Domenici  si organizzò per partire subito per Genova dove caricarono le attrezzature e gli scafandri rigidi su un camion e partirono per Desenzano.
Arrivati sul posto  presero per buone le indicazioni del pescatore che aveva assistito al fatto, l'apparecchio doveva essersi inabissato tra la penisoletta di Sirmione e la punta di Manerba, a Desenzano le autorità misero a loro disposizione un vecchio battello lacustre il Mincio che in poco tempo fu trasformato dai palombari in una piccola nave recuperi, arrivati sul luogo calarono le quattro boe e vi ormeggiarono il Mincio, il primo a cominciare le ricerche fu il Franceschi  che scese alla profondità di 96 metri impantanandosi in uno stretto strato di fango, il tempo era brutto pioveva e a quella profondità la visuale era scarsa e vedeva poco o nulla ma volle continuare nella ricerca con scarsi risultati, si fece tardi e chiusero così la giornata.
IL giorno dopo non pioveva ma spirava un vento gelido, si calò ancora il Franceshi, arrivato sul fondo poco dopo trovò il relitto dell'aereo, giaceva immerso nella poltiglia con le ali spezzate e il motore rincalcato per un tratto dentro la fusuliera, si fece mandare un cappio dalla superfice e inbracò l'aereo, operazione che durò quasi mezz'ora, quindi si vece tirare a galla, il verricello sistemato a poppavia prese a tonfare il cavo si tese ma il relitto dell'aereo preso dal fango non volle sapere di staccarsi, il Mincio s'incarenava ma non ci fù nulla da fare dovettero abbandonare e cambiare l'attrezzatura, con la nuova attrezzatura l'apparecchio venne sradicato dal fango, quando il Savoia Marchetti fu a pochi metri dallo sperone della nave il colonnello Bernasconi  si calò in una lancia e si accorse che nella carlinga non vi era il corpo del pilota e disse sgomento: -il posto è vuoto- avieri, operai e piloti che erano a bordo erano sgomenti, il Gianni li calmò dicendo loro: -vedrete ragazzi lo troveremo-.
                                                              
La carcassa dondolava come una campana a morto sul lago di Garda, il pilota doveva essersi sfilato dal posto mentre l'apparecchio si inabissava il corpo non doveva essere lontano, le ricerche furono sospese per il maltempo pioggia e vento infuriavano sul lago, quando il Bargellini e il Franceschi tornarono da Genova con la Torretta da Osservazione la calma si era ristabilita, faceva freddo ma non pioveva, nel frattempo il Mincio aveva mutato ancora la fisionomia, alle due pomeridiane del 29 gennaio, il Bargellini s'immerse nel punto in cui era stato trovato l'S. 65 per un paio d'ore continuò le ricerche ma non trovò altro che fango, alle quattro il Gianni prese il posto del Bargellini ,anche lui brancolò a lungo nel fango senza trovare nulla, quella sera il Quaglia, appena arrivato da Roma, radunò i palombari e gli fece capire senza giri di parole che il corpo del Dal Molin doveva essere trovato ad ogni costo, l'avvenimento occupava le prime pagine dei giornali il partito fascista aveva inviato sul posto vari pezzi grossi, i gerarchi si facevano vedere spesso in mezzo ai palombari battendo loro sulle spalle, con tanti occhi importanti arrivati da Roma non occorreva molto per comprendere l'interesse attribuito dal Quaglia al buon esito dell'impresa.
All'alba del 30 il Mincio salpò dal molo di Desenzano, alle otto aveva terminato gli ormeggi alle boe collocate in cerchio sul punto prestabilito, a bordo nessuno aveva voglia di parlare, gli avieri guardavano in silenzio i palombari all'opera, nel frattempo con due motoscafi arrivarono a bordo anche il colonnello Bernasconi e due sacerdoti, il ten. Vanini con i sottoufficiali Colombo, Caffarà, Beretta, Buffoni e Cavalli, dentro la torretta vi era il Franceschi che per due ore venne spostato in ogni senso fra le sei boe, tutti gli occhi erano fermi sul cavo che spariva a piombo sott'acqua, ma nessuno perdeva una parola di quanto veniva detto al telefono, alle 10.25 il Domenici alzò il volto dal cornetto, si volse alla folla e disse emozionato:-il Franceschi l'ha visto- il Franceschi chiese di essere tirato sù, e quando uscì dalla torretta apparì commosso e impacciato, il Gianni vece scendere la torretta direttamente nella stiva e ordinò a Carlo di agganciare subito lo scafandro al bozzello, poco dopo il Franceschi penetrò nel mostruoso scafandro provando gli arti che scricchiolavano nel silenzio e sparì immergendosi nell'acqua grigio-olivastra, ora i minuti passavano lentissimi-lo vedo disse il Franceschi è a due metri, ha ancora il casco rosso in capo- quando un grosso nuvolone di fango avvolse il palombaro rendendolo ceco, e quindi si fece tirare sù, quando gli tolserò il coperchio, era pallido con gli occhi rossi e l'aria confusa, dopo essersi schiarito la gola disse:-è sparito m'ha fatto effetto- il Bargellini prese il posto del Franceschi visibilmente provato, aggiunsero altri ganci alle pinze , entrò nello scafandro, provò il telefono e si fece calare, in un minuto toccò il fondo, poco dopo trovo il corpo - è lui disse è a un metro- e lo artigliò, tirandolo sù il corpo abbracciò quasi lo scafandro, la voce del Bargellini era rotta dall'affanno come durasse fatica a sopportare il morto, ma non lasciò la presa, tutti gli occhi stavano sulle parole del Gianni che comunicava con il Bargellini, ogni tanto il casco rosso, sbattendo sul cristallo dell'oblò, rintronava nello scafandro e non poteva fare a meno di osservare quel volto che stava premendo sull'oblò con gli occhi spalancati che lo guardavano come vivi, ma pensava anche agli occhi di quella donna, la madre, che l'ho aveva fissato a lungo mentre gli avvitavano il coperchio dello scafandro  sul capo, molte barche si avvicinarono da ogni parte per fare corona al Mincio, in quel momento apparve la testa dello scafandro e subito la faccia e le mani di Dal Molin, l'azzurro cupo della sua tuta spiccava fra le mastrodontiche braccia dello scafandro poi il grido di una madre: - Tommaso, o Tommaso, quel suo figlio che ora guardava il cielo a capo riverso, ad un piccolo urto aveva voltato il capo dalla parte della madre. erano le 12.25 del 30 gennaio 1930.
                                                          




A tommaso Dal Molin è intitolato l'aeroporto di Vicenza e l'annesso museo.
Sheda tecnica dell'aereo Savoia Marchetti S-65:


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tipo                                                                     idrocorsa
equipaggio                                                          1
progettista                                                           Alessandro Marchetti
costruttore                                                          SIAE-Marchetti
data primo volo                                                   luglio 1929
esemplari                                                            1
lunghezza                                                            10.70 m.
apertura alare                                                      9.50 m.
altezza                                                                 2.80 m.
superficie alare                                                     118.54 m cubi
motore                                                                 2° Isotta Fraschini Asso
potenza                                                                1000 hp
la struttura: monoplano ad ala bassa, a sbalzo, l'S. 65 era un idrovolante a scarponi, caratterizzato dal doppio trave di coda a sostegno dei piani orizzontali e dalla particolare formula bimotore che vedeva i due motori alloggiati nella corta fusoliera posti uno in posizione anteriore (azionante un'elica traente)uno in posizione posteriore (azionante un'elica spingente) tra le due unità motrici era realizzato l'abitacolo.
i motori: Isotta Fraschini Asso 750


                        
scheda tecnica:
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costruttore                                                        isotta fraschini
tipo                                                                   motore a w
n°cilindri                                                            18
raffreddamento                                                 ad acqua con pompa centrifuga
alimentazione                            6 carburatori isotta-stromberg riscaldati ad acqua
distribuzione                                                      DOHC 4 valvole per cilindro
lunghezza                                                          2.196 mm.
larghezza                                                           1.060 mm.
altezza                                                               1.060 mm.
cilindrata                                                             47.07 l.
alesaggio                                                            140 mm.
corsa                                                                   170 mm.
rapporto di compressione                                     5.7:1
peso a vuoto senza mozzo elica                            663 kg
potenza                                                                900-930 hp a1.900 g. al min.
consumo                                                               220g./cv-h
combustibile                                                          benzina 87 ottani
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 altri aerei italiani che parteciparono alla coppa Schneider


                        
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 Il mistero dello scafandro rigido
                 "è un italiano!"


L' anno di questa storia é il 1927, nei giorni in cui si lavorava per attrezzare i quattro vapori , e cioè l'Artiglio, Rostro, Raffio, e Arpione, la SO.RI.MA. fu invitata dalla Neufeldt & kuhnke su un lago, (riteniamo il lago di Como) ad assistere al collaudo di un nuovo tipo di scafandro per le grandi profondità, la SO.RI.MA. inviò Alberto Gianni, i tecnici presenti all'operazione, esaminate le numerose innovazioni e modifiche meccaniche apportate allo scafandro, manifestavano concordi giudizi sulla piena riuscita del collaudo, il Gianni, che nessuno conosceva, se ne stava tutto attento in disparte, si vece avanti soltanto nel momento in cui il palombaro, sospeso sull'acqua, stava per essere calato, -scusate, disse indicando il cavo di acciaio che lo sosteneva,-siete ben sicuri che resista? man mano che scende, lo scafandro tende a prillare per effetto delle correnti sulle braccia divaricate, lo sapete, e saprete anche che lo sforzo maggiore si verifica proprio lì, nel punto di attaco, anche negli scafandri che ci avete fornito, dopo le prime prove io stesso ho dovuto cambiare il cavo in quel punto, e non basta aumentere le dimensioni, inoltre anche l'attacco mi sembra deboluccio e con gli spigoli troppo vivi, è pericoloso, badate, per un cavo che tende a prillare!; lo ascoltarono con gli occhi, senza nemmeno volgere il capo dalla sua parte, e subito si dimenticarono di lui, un ingegnere tedesco si volse al suo vicino per chiedergli:- che cosa va dicendo costui? il vicino, un ingegnere francese, rispose:- c'est un italien!; il palombaro iniziò l'immersione, era giovane, spavaldo forse per mascherare lo stato d'animo, giunse a cento, poi centoventi metri, il Gianni non toglieva gli occhi dal cavo che continuava a ruotare sempre più svelto vibrando come una corda di chitarra, a un tratto il telefonista si mise a fare dei gesti, e, quando si volse, era pallido e incapace di pronunciare una parola, il cavo di sospensione si era spezzato, ora tornava sù leggero dall'argano, ogni via di salvezza appariva preclusa, non avevamo nemmeno uno scafandro di soccorso, ne benna, ne un grappio, niente, il lago in quel punto era profondo per lo mano duecento metri, lo scafandro doveva essere adagiato sul fondo forse abbattuto su un fianco, il tempo passava, fra l'impotenza e la profonda commozione dei presenti, il palombaro continuava ad invocare aiuto per mezzo del telefono i cui fili erano rimasti intatti, questo durò a lungo, infine inviò un pensiero ai familiari.
La SO.RI.MA possedeva già degli scafandri della Neufeldt & Kuhnke, va detto anche che al Gianni non sono mai piaciuti, li trovava pericolosi, pesanti, scomodi si deve infatti ad un suo suggerimento la modifica delle braccia, da articolate con tre giunture ad una giuntura sola, con la conseguente eliminazione del rischio di allagamento per le troppe guarnizioni, che non erano perfette in quanto a tenuta, ma nonostante tutto al Gianni non sono mai andati giù al punto che dopo la tremenda disgrazia cominciò a balenare l'idea e il progetto della torretta di osservazione, diventata poi torretta butoscopica, dove il palombaro al suo interno doveva essere l'occhio, il cervello, la mente, per poi fare il lavoro con le macchine, pensiero che poi si è rivelato vincente nelle numerose imprese di recupero  con l'artiglio, si deve al genio del Gianni anche l'idea della "SELLA", in pratica un sellino  per poter stare seduti e un pò più comodi all'interno di questi scafandri, perche devono essere stati veramente scomodi, comunque furono usati in varie occasioni e rimasero nel parco attrezzature dell'artiglio.
Silvio Micheli intitola questo episodio da cui io ho tratto spunto( dal suo libro L'ARTIGLIO HA CONFESSATO) "C'EST UN ITALIEN!", dal commento di quell' ingegnere francese,  " è un italiano!".
Io a suo tempo feci una ricerca storica sull'accaduto, anche se devo dire che il termine :" RITENIAMO IL LAGO DI COMO " apriva  molti dubbi sul luogo effettivo dove si svolse l'episodio, ma non mi sono perso d'animo e mi sono recato in bibblioteca a Como e ho letto gli articoli di quell'anno (1927) non trovando nulla che riportasse l'accaduto, mi sono anche consultato con alcune persone del Premio Artiglio a Viareggio chiedendo alcune informazioni ma nulla di fatto, un'ipotesi potrebbe essere quella che l'intera vicenda si sia svolta in un altro lago del nord italia, l'altra e che la Neufeldt & Kuhnke abbia in qualche modo e inspiegabilmente nascosto l'incidente per evitare ripercusioni, ma sono tutte ipotesi, la considerazione che si può fare e che  questa tremenda disgrazia rimane un mistero di come e dove siano veramente andati i fatti, rimane però una somiglianza a dir poco impressionante di un'altra vicenda che conosco bene e di cui mi sono occupato, che riguarda l'affondamento della batisfera dell'ing. Kalin nel 1920 dove all'interno vi era il povero meccanico Riccardo Schena che trovò la morte in analogo modo come il povero palombaro dello scafandro rigido, l'episodio della batisfera successe proprio sul lago di Como davanti a Gravedona , i resti del relitto sono stati appena trovati.